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Sandra Leone, Livorno 28 marzo 2020

1. Dove vivi? Che lavoro fai?


Vivo a Livorno. Sono ricercatrice in fisica sperimentale delle particelle elementari presso l’Istituto azionale di Fisica Nucleare (INFN) di Pisa. Lavoro nell’esperimento ATLAS, una collaborazione internazionale di migliaia di ricercatori provenienti da tutto il mondo che studia, al CERN di Ginevra, le collisioni protone-protone. Il mio lavoro si svolge soprattutto nel laboratorio di Pisa dell’INFN, ma mi reco al CERN 4-5 volte all’anno per partecipare a riunioni della mia collaborazione e interagire con i colleghi. Inoltre, sono responsabile delle attivià italiane di un rivelatore, detto calorimetro adronico, che è parte dell’esperimento ATLAS, quindi spesso ho necessità di viaggiare anche in Italia, per partecipare a riunioni nazionali. Infine, da molti anni mi occupo di divulgazione scientifica e partecipo a molte iniziative istituzionali dell’INFN che coinvolgono gli studenti delle scuole superiori.

2. La tua età: sotto i 35 anni; 36-50; 51-67; oltre i 67 anni. Il tuo genere


Ho 56 anni, genere femminile.

3. Come sono cambiati i tuoi tempi e le tue abitudini di lavoro?


Si perde un po' il senso del tempo e delle giornate che passano, stando sempre in casa. Da questo punto di vista il lavoro aiuta, perché c’è comunque una agenda (e quindi un calendario) di riunioni a cui partecipare, scadenze da rispettare, messaggi di posta elettronica a cui rispondere o da spedire. Il mio lavoro si svolge, in condizioni normali, secondo due modalità: il lavoro pratico del fisico sperimentale che va in laboratorio (quasi) tutte le mattine (e ovviamente questo aspetto è completamente perduto); e poi il lavoro che può essere fatto con un computer (quindi la partecipazione a riunioni telematiche, di solito più di una al giorno, l’interazione con i colleghi, la lettura della posta elettronica, che specialmente in queste condizioni di telelavoro ha acquisito molto spazio, la lettura, revisione e preparazione di documenti e progetti). I tempi del lavoro di questo secondo tipo sono aumentati rispetto a prima. In generale è come se il tempo del lavoro si fosse diluito in periodi più lunghi. Non c’è più una suddivisione netta tra la mattina, il pomeriggio e la sera, tra i giorni feriali e i giorni festivi. Ho l’impressione, pur essendo sempre a casa, di avere meno “tempo libero” rispetto a quando mi recavo tutti i giorni in ufficio. Inoltre, la condivisione di spazi ristretti con gli altri due membri della famiglia, entrambi occupati in attività telematiche, ci costringe ad una organizzazione e suddivisione puntuale degli spazi (occupando 3 stanze diverse), oltre che dei tempi (per esempio per evitare 3 connessioni video contemporanee).

4. Cosa è cambiato nelle tue abitudini quotidiane? Nello svago, la socialità, la cura della persona e della casa, l’alimentazione?


Ho mantenuto gli orari che scandiscono le giornate: la sveglia (un po' più elastica, in realtà), gli orari dei pasti e l’orario per andare a dormire. Tutto il resto è cambiato. Essendo sempre davanti ad un computer per il lavoro telematico, non riesco a fare a meno di leggere informazioni su tutto ciò che sta accadendo, in particolare sui numeri e la loro evoluzione nelle varie parti d’Italia e del mondo.

La cura della persona e della casa si sono ridotte al solo rispetto delle più elementari e imprescindibili norme di igiene. Mi impongo un minimo di attività fisica giornaliera, rigorosamente senza uscire di casa, camminando nei miei 80m2, o sul balcone del salotto quando c’è il sole, svolgendo qualche semplice esercizio e usando le scale anziché l’ascensore per scendere in cantina e risalire. Cerco di garantire a me e alla mia famiglia una alimentazione sana e per quanto possibile equilibrata, variando i pasti ma incoraggiando tutti ad accettare “quel che Simona Regina”: andare a fare la spesa è per me fonte di ansia e preoccupazione, per cui una volta fatta la spesa settimanale, ci si adegua a mangiare quello che è disponibile, in attesa della spesa successiva. Non credo comunque di aver mai cucinato tanto in vita mia: mangiare due pasti principali a casa non è mai stato nelle abitudini quotidiane della nostra famiglia.

Lo svago si riduce alla lettura di qualche libro che era stato lasciato da parte per l’estate, alla visione di qualche serie televisiva “rilassante” (per lo più fantascienza), all’ascolto di musica, a qualche partita a carte o alla condivisione di qualche altra piccola attività con mia figlia.

La socialità nel senso usuale del termine è ovviamente azzerata. La cosa che mi manca di più è il contatto fisico con mia madre, 83 anni, che vive sola a un paio di chilometri da casa mia, a cui lascio la spesa settimanale cercando di evitare i contatti. Le giornate sono comunque scandite dai nostri numerosi appuntamenti telefonici giornalieri. Per il resto, cerco di tenermi in contatto con tutti i miei cari e con amici vicini e lontani. Questa situazione assurda è stata anche un’occasione per contattare (ed essere contattata) da vecchi amici persi di vista. Un esempio su tutti: un fisico brasiliano che avevo conosciuto durante la preparazione della tesi di laurea, e poi perso di vista, che leggendo le notizie drammatiche sull’Italia è riuscito a rintracciarmi e mi ha scritto per avere mie notizie. Gli strumenti utilizzati per questi contatti sono la posta elettronica, i social networks, il telefono ma anche le videochiamate. Quest’ultimo strumento è davvero fantastico, ci permette di sentirci meno soli, perché risponde al bisogno non solo di voci, ma anche di volti. E poi le videochiamate multiple sono bellissime, con le mie 3 amate cugine collegate insieme rispettivamente dalla Lombardia, Liguria e Sicilia, o con i miei cognati e nipotini in Veneto. Sabato scorso ho partecipato alla prima videochiamata collettiva con le socie di un’associazione online di genitori di cui faccio parte dalla nascita di mia figlia, diciannove anni fa. In tutti questi anni “di persona” ne ho conosciute solo un paio, ma sono tutte parte della mia vita, dei veri punti di riferimento, una rete di conoscenze virtuali su cui però sento di poter contare perché dietro ognuna di loro c’è una persona reale, e le considero tutte “amiche”. Insomma è stato un momento emozionante, 25 piccoli quadratini con 25 volti sullo schermo del mio computer, ma ho potuto finalmente sentire le voci associate a quei volti, e anche se nei 40 minuti del collegamento siamo riuscite a malapena a dire una serie infinita di “ciao” l’una all’altra, io mi sono commossa. Il prossimo evento in programma è la merenda in videochiamata con gli amici con cui eravamo soliti fare colazione il sabato mattina sul lungomare di Livorno.

5. Hai approfittato di questo periodo per fare qualcosa che ti ripromettevi, ma non avevi il tempo di fare?


No, anche perché le cose che mi riprometto di fare presuppongono la libertà, e sono soprattutto legate a viaggi e incontri. Non sono mai stata un tipo “casalingo”, quindi tra le “quattro mura” non c’è proprio niente che io mi ripromettessi di fare. In condizioni normali, non perdevo occasione per “evadere” perché dentro casa mi sono sempre sentita in gabbia. Primache tutto ciò accadesse, avevamo programmato un trasloco. Purtroppo siamo stati bloccati poco prima dello spostamento. Probabilmente nella nuova casa avrei potuto approfittare di questo tempo per fare molte cose, ma la tempistica non me lo ha permesso. Siamo rimasti come congelati in una casa che avremmo dovuto lasciare a giorni e dove già avevamo cominciato a preparare gli scatoloni.

6. In questo isolamento con chi ti senti più in sintonia?


Sarà banale, ma la persona con cui mi sento più in sintonia è mio marito. Non c’è nessuna altra persona con cui vorrei trovarmi a condividere questo stato irreale eppur realissimo di isolamento.

7. Dove vorresti essere adesso?


I miei genitori molti anni fa hanno costruito una casetta in aperta campagna in Sicilia, nell’entroterra di Siracusa, loro terra d’origine. Ci vado molto meno di quel che vorrei, ma in questo momento, potendo scegliere un unico posto al mondo dove poter essere, sceglierei di essere à, con i miei cari. La primavera nella campagna siciliana è bellissima, ricca di profumi, e i cieli di aprile hanno dei blu così intensi da sembrare irreali. Ecco, credo che in mezzo agli ulivi, e con l’aria che profuma di timo e rosmarino anche l’isolamento sociale mi apparirebbe più sopportabile.

8. Cosa ti manca di più?


Le passeggiate sul mare, le colazioni al bar il sabato mattina, poter abbracciare mia madre.

9. Hai scoperto l’importanza di qualcosa cui prima non davi alcun peso o ne davi meno?


L’importanza dell’essere vivi. Tendiamo a darlo per scontato, ovviamente, ma forse dovremmo prenderci più cura di noi stessi e delle persone che amiamo. Il “diritto alla vita” di ogni essere umano dovrebbe essere prioritario in ogni organizzazione sociale. Perchè questa vita “meravigliosa, questa vita dolorosa, seducente miracolosa” è davvero la cosa più preziosa che abbiamo.

10. Pensi che ci sia qualcosa che hai riscoperto e alla quale non vorrai rinunciare dopo?


A parte l’aspetto umano (cioè l’aver stabilito o ristabilito dei contatti che farò di tutto per mantenere anche dopo) non c’e’ proprio nient’altro di tutto ciò che stiamo vivendo a cui non vorrò rinunciare. Anzi, anelo il momento in cui potremo lasciarci tutto alle spalle. Ma quando arriverà questo momento?


11. Cosa cambierà dopo? Cosa vorresti portare con te di questa esperienza quando sarà finita? Cosa non vorresti dimenticare?


Mi auguro e mi aspetto che dopo cambi molto. Sia sul piano collettivo che sul piano personale. Sul piano generale credo che, come collettività, dovremmo trarr molti insegnamenti da questa esperienza. Prima di tutto sul giusto valore da attribuire alla scienza e alla ricerca scientifica. Credo che tutti dovremmo pretendere la valorizzazione delle eccellenze, personali ed industriali. Abbiamo appreso in questi giorni di fabbriche che nel giro di pochissimo si sono riconvertite alla produzione di mascherine, respiratori, farmaci specifici e quant’altro sta mancando negli ospedali in questa emergenza. Tutto molto lodevole nel momento di crisi, ma non è accettabile che un paese evoluto dipenda dalla produzione straniera per beni così importanti. L’innovazione in campo scientifico e` fondamentale per lo sviluppo di un paese moderno. Dovremmo incoraggiare le imprese innovative, quelle che investono sulle tecnologie emergenti, e anche sostenerle, perchè ovviamente chi cerca di innovare corre dei rischi. Dovremmo tutti pretendere che gli investimenti nel campo della ricerca medica siano moltiplicati, e non accontentarci del (pur lodevole) Telethon!! Per quanto riguarda il servizio sanitario nazionale, per decenni questo ha subito uno smantellamento pezzo dopo pezzo. Ci hanno ripetuto che “non ce lo possiamo più permettere” , e noi abbiamo accettato supinamente questo assunto. Ma è giunto il momento, come popolo, di alzare la testa e difendere una delle maggiori conquiste delle generazioni passate. E' necessario un ripensamento generale dell’accesso alle professioni mediche, soprattutto per le specializzazioni. Perchè è inutile dire che si vogliono assumere 300 nuovi medici anestesisti, se tra quelli che abbiamo formato negli ultimi anni i 300 anestesisti in più non ci sono. Ben venga una riorganizzazione della sanità sul territorio e una ottimizzazione dell’uso delle risorse, ben venga la lotta agli sprechi e all’evasione fiscale, purchè sia garantito l’accesso alla cura a tutti i cittadini, e che ognuno paghi a seconda delle proprie possibilità. Purchè sia garantita la tutela dei più deboli, che mai più dovranno essere lasciati indietro. E' importante che, passata l’emergenza, non ci si dimentichi di tutto ciò. Dobbiamo farlo per onorare la memoria delle migliaia di morti, perchè questa è stata la tragedia più grande che la mia generazione abbia vissuto. E' importante che ci si ricordi dei medici, degli infermieri, dei volontari, degli amministratori locali, di tutti coloro che hanno fatto la propria parte, andando molto spesso al di là del semplice loro dovere.

Nell’intersezione tra il piano personale e quello pubblico, vorrei poter dare il mio contributo alla rinascita, vorrei sentirmi utile. Una maniera è mediante l’attenzione verso le giovani generazioni. In queste settimane ho dovuto fare delle lezioni telematiche, anche se non rappresentano il fulcro della mia attività lavorativa, e il contatto con gli studenti, in queste giornate difficili, mi ha per l’ennesima volta confermato l’importanza del lavoro educativo. Dall’altra parte dello schermo, sto assistendo alla dedizione e all’impegno quotidiano con cui gli insegnanti di mia figlia cercano di offrire ai loro studenti “maturandi” una parvenza di normalità. Per farlo, si sono dovuti reinventare un ruolo e han dovuto acquisire nuove competenze, e sappiamo quanto questo sia difficile. Credo che non dovremmo perdere questo slancio a sentirci e a metterci al servizio delle nuove generazioni, sia attraverso il potenziamento dei sistemi e degli strumenti educativi, sia per preservare il pianeta in cui viviamo, l’unico che abbiamo a disposizione e che possiamo lasciare in eredità a chi verrà dopo di noi.

Da un punto di vista strettamente personale, io vorrei incontrare tutte le persone che in queste settimane non ho potuto abbracciare, ma vorrei anche incontrare le persone che non vedo da tempo, o quelle che non ho mai visto, come le mie amiche virtuali. E vorrei ridere con loro.


12. Come percepisci il cambiamento negli altri? Quali sono le domande che ti sei posta/o a questo riguardo e alle quali non avevi mai pensato prima?


E' difficile percepire il cambiamento negli altri, anche se mi auguro che le mie riflessioni riportate nel punto precedente siano largamente condivisibili. Una riflessione generale che tutti noi dovremmo fare riguarda l’enorme valore della democrazia e della libertà. Attenzione però, non la libertà di poter fare incondizionatamente quello che voglio, ma la libertà rispettosa dell’altro, che finisce dove comincia quella del mio prossimo, che sia il mio vicino di casa, o il mio concittadino, o il mio collega. Dove porre questo limite? Non dobbiamo cedere alla tentazione di barattare la libertà in nome del controllo dell’altro, del diverso da me. Attenzione ad usare, anche per scherzo, espressioni come “abolizione del suffragio universale”. Ma nello stesso tempo, attenzione a non calpestare la libertà degli altri, in nome di un individualismo diffuso che mette prepotentemente l’Io al centro del mondo. Dove finisce la mia libertà e comincia quella degli altri? E' una domanda che dovremmo avere sempre ben presente, e che forse abbiamo dimenticato da tempo di porre a noi stessi. E quando finalmente potremo pensare a questi giorni come al nostro passato, auspico che oltre a ricordare chi ha messo la propria vita, le proprie competenze, le proprie mani a servizio di tutti noi, ricorderemo anche chi, nei massimi momenti di sconforto collettivo di fronte all’orrore in cui ci trovavamo immersi, non ha parlato e agito per il bene comune ma per un gretto tornaconto personale.


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