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Paola Govoni, Bologna 4 aprile 2020


1. Dove vivi? Che lavoro fai?


Vivo a Bologna e lavoro per l'università locale. Insegno storia e studi sociali della scienza. La mia ricerca indaga le interazioni tra società e scienza in età moderna e contemporanea, anche in prospettiva di genere.

2. La tua età: sotto i 35 anni; 36-50; 51-67; oltre i 67 anni. Il tuo genere


51-67; donna.

3. Come sono cambiati i tuoi tempi e le tue abitudini di lavoro?


Sono fortunata e continuo il mio lavoro da casa: esami e tesi, ricevimenti e lezioni, tutto ora è online. Sono doppiamente fortunata, perché mio marito e io facciamo lo stesso mestiere, dunque, in giro per casa c’è anche un collega con cui continuano gli scambi.

Sono da sempre abituata a svolgere gran parte del lavoro di scrittura e studio a casa e gli orari non sono cambiati: mi sveglio presto e inizio a lavorare. Certo, ho dovuto cambiare i miei piani di ricerca: stavo per iniziare un progetto che non è realizzabile senza una buona biblioteca. Avevo in programma un mese e mezzo di ricerca all’estero, che è saltato. E le risorse disponibili in rete non sono sufficienti. La vicenda che stiamo vivendo dovrebbe farci ammettere che – come in molti altri settori – il mondo universitario, editoriale e delle biblioteche scontano in Italia un ritardo imbarazzante rispetto a istituzioni analoghe di altre parti del mondo. In tempi di economia 5.0, questo è un problema per lo sviluppo economico e sociale del paese.



4. Cosa è cambiato nelle tue abitudini quotidiane? Nello svago, la socialità, la cura della persona e della casa, l’alimentazione?


Come per tutte/i è cambiato tutto: niente passeggiate né socialità, anche la spesa è diventata un problema. Ma soprattutto sono cambiate le questioni più importanti, perché la mia famiglia è sparsa per l’Europa: una figlia in Francia, un figlio in Inghilterra, noi in Italia. Abbiamo sempre pensato alla nostra situazione come a un grande privilegio: lavorare in paesi diversi ha significato a lungo raggiungerci in luoghi interessanti, dove raccontarci esperienze sempre nuove, dove conoscere persone provenienti da parti diverse del mondo. Ora tutto è cambiato e la nostra situazione – come quella di milioni di altre famiglie con migranti – da privilegiata è diventata ... beh, diciamo una fonte di preoccupazione.

Ma si sono anche ripresi i contatti con persone lontane. C’è molta attenzione all’ordine in casa, per non lasciarsi andare e per muoversi un po’. E ci sono la musica, le letture e i film: ma solo se con uno happy ending! Faccio ginnastica e mi ritrovo a camminare per casa come un animale in uno zoo. Ultimamente leggo molto di primatologia: mi sento come quei primati sotto osservazione. Questa, in effetti, è una novità: mi capita di osservarmi da fuori, chiusa in gabbia.

5. Hai approfittato di questo periodo per fare qualcosa che ti ripromettevi, ma non avevi il tempo di fare?


All’inizio, ma poi le abitudini hanno preso il sopravvento: lavoro. Come hanno capito e iniziato a scrivere alcuni secoli fa le prime femministe: il lavoro salva la vita.

6. In questo isolamento con chi ti senti più in sintonia?


Con i primati da laboratorio di cui sopra.


7. Dove vorresti essere adesso?


Vorrei essere con la mia famiglia, non importa dove. Vorrei passeggiare con loro e salutare la gente per strada: tutte/i in mezzo ai viali un tempo trafficati, impedendo alle auto – almeno quelle private ...– di passare. Sono rimasta molto impressionata, da ragazzina, da quel periodo di cosiddetta austerity che ci costrinse per un periodo ad andare a piedi e in bicicletta. É allora che iniziai a occuparmi di questioni ambientali. In queste settimane, in una città terribilmente inquinata – anche acusticamente – come Bologna, l’aria è pulita; il silenzio è meraviglioso. Spero che qualcuno pensi a che cosa fare per tenerci questi beni preziosi, per esempio investendo in economia verde, come hanno iniziato a fare da alcuni decenni nel nord d’Europa. Ci sono le conoscenze e le tecnologie per riuscirci. E il tempo non manca: secondo alcuni esperti – a ragion di logica e di dati – difficile pensare di uscire, tra alti e bassi, da questa situazione in meno di un anno o due.

I dati sui morti annuali nel mondo a causa dell’inquinamento fanno impallidire quelli da SARS-CoV-2: secondo i dati WHO, nel 2019 sono morte 4,2 milioni di persone a causa di malattie da inquinamento, tra cancro ai polmoni e molto altro. Sì, di lavoro ce ne sarebbe per tutte/i se avessimo il coraggio e le capacità di riconvertire le nostre economie premoderne: invece, in tempi di reti e intelligenza artificiale continuiamo a pensare alle questioni demografiche, per esempio, come durante la prima rivoluzione industriale. É un antropocentrismo non più sostenibile.

Certo, per cambiare rotta saranno necessari sacrifici: “sacrificio” è una vecchia parola che dovremo rispolverare. Ma, soprattutto, dobbiamo rassegnarci a studiare di più, fare più ricerca e aggiornarci, vecchi e giovani: impossibile riconvertire e innovare senza formazione e nuove tecnologie.

8. Cosa ti manca di più?


Ovviamente la mia famiglia. Ma mi manca in realtà tutto di quel di mondo di libertà e privilegi che abbiamo conosciuto noi, generazioni occidentali nate in quel benessere e ottimismo sostenuti dall’enorme lavoro di genitori usciti dalla guerra. Anche se i miei, che sono morti, erano stati troppo giovani per partecipare in prima persona, erano entrambi animati da una voglia di fare straordinaria, tipica degli scampati. Spero che qualche cosa di analogo succederà a noi, quando usciremo da questa situazione.

9. Hai scoperto l’importanza di qualcosa cui prima non davi alcun peso o ne davi meno?


Forse no, ma si sono rafforzate definitivamente decisioni già prese da qualche tempo: resistere alla frenesia consumistica che ha divorato il mondo della ricerca, in ogni ambito e ovunque, inducendo a stili di vita tossici. Resistere alla pressione, alla competitività e alla cultura delle “quantità” (il cosiddetto publish or perish). Me lo posso permettere anche perché come storica la mia ricerca può costare poco – se ci si organizza – rispetto a quella di chi lavora in un laboratorio; di chi lavora su grandi dati, come in statistica, sociologia o economia; o sul campo, come in antropologia, archeologia, primatologia e altro ancora. Certamente è una scelta che comporta rinunce, a volte dolorose, perché si è percepite – da alcuni – come emarginate o perdenti. Questo è un enorme problema soprattutto per chi è agli inizi della carriera che, com’è ovvio, si deve adattare allo status quo. Una mancanza di libertà dannosa all’innovazione. Soprattutto per le giovani donne che in generale, come continuano a dirci i dati, hanno più problemi degli uomini a stabilizzare le loro carriere nella ricerca.

10. Pensi che ci sia qualcosa che hai riscoperto e alla quale non vorrai rinunciare dopo?


Il tempo di lavorare in pace. Mi mancano le colleghe e i colleghi, ma non gli impegni di politica accademica. L’obiettivo del nostro lavoro sembra a volte unicamente quello di aumentare i valori di parametri vitali per risalire in classifiche internazionali (o nazionali o locali) utili a ottenere più soldi investiti non di rado in ricerche discutibili: la diffusione di una malattia come SARS-CoV-2 dovrebbe imporci qualche onestà, per esempio, sulla nostra incapacità di far interagire scienze naturali e scienze sociali con obiettivi sostenibili. Per non dire dei processi di valutazione, ovviamente indispensabili, ma al momento controversi almeno quanto quelli che stiamo vedendo in azione nella raccolta dei dati su contagiati, morti e guariti da coronavirus. Sto esagerando? Forse, ma poco. Per produrre dei dati meno incerti, per non dire del sostegno ai processi di innovazione, ci vuole anche del tempo; il tempo di pensare a come e perché si fa quello che si sa. Il tempo di ricontrollare i dati una volta di più. Il tempo di scambiare opinioni e di approfondirle. Su giornali come Nature o Science o Pnas ci si interroga a volte su questi temi. Salvo continuare poi come prima, perché gli interessi in gioco sono troppi e si ha paura di cambiare.

Da questa pandemia è tuttavia emersa una novità interessante: le università si sono accorte degli studenti e delle studentesse, spesso al secondo posto rispetto alle grandi call e ai rapporti con i finanziatori, quali che siano; alle gare tra singole/i e gruppi; alla frenesia degli inviti, alla presenza sui social ... Con la crisi economica che seguirà a quella sanitaria, in un paese come questo, abituato a tagliare sulle questioni essenziali – che, con il cibo e la sanità, sono a mio parere la cultura e le connessioni internet in egual misura –, tutti ovviamente temono un crollo delle iscrizioni universitarie. Così come lo si teme negli Stati Uniti e in Inghilterra, a causa del probabile crollo delleiscrizioni di studenti da altri paesi. Di conseguenza, c’è un gran parlare ovunque di come raggiungere gli studenti e le studentesse in modalità comunicative nuove, oltre gli strumenti digitali, intendo. Una interessante conseguenza non programmata che ci costringe a cambiare e a imparare cose nuove. Sono abbastanza ottimista, su questo punto. Spero che qualche cosa di analogo avvenga nella scuola.

11. Cosa cambierà dopo? Cosa vorresti portare con te di questa esperienza quando sarà finita? Cosa non vorresti dimenticare?


Mi piace pensare che capiremo la necessità di darci priorità un poco più intelligenti di quelle che ci siamo dati nell’ultimo secolo e mezzo: non più accumulo seriale di beni da consumare (o da accumulare, quando non riusciamo a consumarli); maggiore attenzione all’ambiente e alla giustizia sociale. Sono purtroppo indifferente a questioni nazionalistiche oltre al fatto che, da storica, riesco a pensare solo in termini di lungo o lunghissimo periodo. La specie ce la farà, ma in che modo? Non dobbiamo perdere il benessere e i diritti che con fatica ci siamo guadagnati dopo esserci massacrati tra europei a suon di ideologie, due guerre mondiali e una Shoah. Se vogliamo preservare il benessere e i diritti conquistati li dobbiamo estendere all’intero mondo umano e all’ambiente: su questo punto dovremmo essere tutte/i d’accordo, chi per egoismo, chi per sensibilità verso gli altri. Il mio mestiere – la storia – è un po’ come quello della scienza: produce dati contro intuitivi e sgradevoli – quando non si indulge al politicamente corretto –, per questo tipicamente non ascoltati quando non fanno comodo. Le ricostruzioni storiche ci dicono che la storia umana – in particolare quella delle donne – non è affatto progressiva come ci piace pensare. Da molti decenni il mondo della scienza ci dice che la totale mancanza di rispetto per l’ambiente e una crescita demografica fuori controllo ci avrebbero portati a confrontarci con problemi più grandi di noi. Ora ci siamo dentro fino al collo, tra cambiamenti climatici e virus. Il mondo è uno e decisamente piccolo per 7 miliardi e mezzo di umani che si comportano come ci stiamo comportando noi da secoli. Capiremo la lezione del virus? Solo se sapremo metterci dal suo punto di vista. Un po’ come i fisici e le fisiche che hanno saputo mettersi dal punto di vista dell’elettrone. O, almeno, ci hanno provato. Che cosa fa più comodo al virus? La densità demografica; un inquinamento drammatico, la deforestazione e allevamenti fuori controllo; investimenti in educazione, ricerca scientifica e in sevizi sanitari ridicoli rispetto al numero degli abitanti e a quanto investito in ... strutture turistiche, per esempio; una diffusa e solida ignoranza circa la nostra natura: siamo una specie che con le altre si scambia virus e batteri, incluso materiale genetico e cultura. Invece, non solo continuiamo a sentirci una specie “speciale” e ci stupiamo se prendiamo malattie da altri animali, ma siamo tutti in attesa di vaccini e antivirali per riprendere la corsa di prima. E anch’io: con tutto il mio ecologismo, non vedo l’ora di correre a prendere un volo per raggiungere la mia famiglia. Ma quando riprenderemo – in qualche misura e chissà quando – la vita di prima, m’impegno a viaggiare di meno!

12. Come percepisci il cambiamento negli altri? Quali sono le domande che ti sei posta/o a questo riguardo e alle quali non avevi mai pensato prima?


Temo che nelle risposte alle domande precedenti ci sia tutto quello che, in questo momento, sono in grado di dire. Anzi, ho scritto anche troppo. E poi, negli ultimi mesi la mia incertezza e miei dubbi sono aumentati in modo esponenziale.

Ma questo scambio a distanza mi ha aiutata a riflettere e mi ha fatto piacere: grazie mille per l’invito!


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