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Manuela, Napoli 30 marzo 2020

1. Dove vivi? Che lavoro fai?

Vivo a Napoli e faccio ricerca in campo umanistico presso un Istituto del CNR.


2. La tua età: sotto i 35 anni; 36-50; 51-67; oltre i 67 anni. Il tuo genere

60 anni, donna.


3. Come sono cambiati i tuoi tempi e le tue abitudini di lavoro?


Sono cambiati moltissimo. Prima di tutto l’immobilità alla scrivania in un lavoro che prevedeva molti spostamenti e un certo numero di contatti. Viene privilegiata la parte di ricerca del mio lavoro, ma quella necessita di grande concentrazione e di un ambiente adatto, per non dire delle biblioteche e degli archivi. Tra l’altro, la mancanza di un aiuto domestico rende difficilissimo mandare avanti tutto. Lavoro e accudimento della casa e dei figli. Per quanto i compiti possano essere distribuiti, è assai faticoso.


4. Cosa è cambiato nelle tue abitudini quotidiane? Nello svago, la socialità, la cura della persona e della casa, l’alimentazione?


Si cucina moltissimo, si pulisce moltissimo e la socialità è concentrata intensamente in telefonate, collegamenti e messaggi. Tutte forme altamente destabilizzanti.

5. Hai approfittato di questo periodo per fare qualcosa che ti ripromettevi, ma non avevi il tempo di fare?


Ordine, quanto più posso; ordine di carte, cose e pensieri. Aiuta molto psicologicamente e sostituisce la pratica del camminare, in questo momento impossibile da portare avanti.

6. In questo isolamento con chi ti senti più in sintonia?


Sicuramente con me stessa, l’isolamento amplifica a dismisura il contatto interno.

7. Dove vorresti essere adesso?


Al lavoro nella mia casa di campagna, con la possibilità di uscire e mettere a posto pensieri.


8. Cosa ti manca di più?


Un luogo altro rispetto alla casa, uno spazio fisico che faccia sufficientemente da corrispettivo ai luoghi mentali.


9. Hai scoperto l’importanza di qualcosa cui prima non davi alcun peso o ne davi meno?


Il contatto, anche se a distanza, con le persone acquista un valore diverso, anche perché si inserisce in contesti meno stressanti. Ora le voci degli altri e il loro pensiero sono davvero preziose, contano diversamente da come contavano prima dell’emergenza.

10. Pensi che ci sia qualcosa che hai riscoperto e alla quale non vorrai rinunciare dopo?


Sicuramente i ritmi più lenti e più ponderati, e poi il senso di rinunciabilità di tante cose.

11. Cosa cambierà dopo? Cosa vorresti portare con te di questa esperienza quando sarà finita? Cosa non vorresti dimenticare?


Tengo molto a portare nella mente e nel cuore il pensiero di tutte quelle persone che, mentre noi siamo a casa, ci difendono e si difendono poco. La dedizione di quelli che sono sempre al lavoro per tutelarci diventa in questo momento un vero e proprio monito etico, uno sprone a pensare all’impegno come un imperativo morale. In senso più ampio, vorrei portare con me la costanza di un pensiero rivolto a chi sta peggio.

12. Come percepisci il cambiamento negli altri? Quali sono le domande che ti sei posta/o a questo riguardo e alle quali non avevi mai pensato prima?


La sensazione di essere tutti nella stessa barca – espressione abusata in questo periodo – mette a disposizione maggiore partecipazione e collaborazione, forse maggiore empatia. Ma sono portata a credere che il ritorno a una vita “normale” ridimensionerà radicalmente comportamenti di disponibilità e partecipazione sociale.

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