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Sveva Avveduto

Giovani Paoloni, Roma 2 maggio 2020


1. Dove vivi? Che lavoro fai?

Faccio il docente universitario, e vivo a Roma nella parte dell’anno accademico in cui svolgo la didattica; per il resto vivo in Toscana, in provincia di Grosseto. In genere ci vado comunque durante il fine settimana anche nei periodi in cui insegno, e durante il periodo invernale almeno una o due volte al mese. Lì ho la mia biblioteca …

2. La tua età: sotto i 35 anni; 36-50; 51-67; oltre i 67 anni. Il tuo genere

Maschio, 51-67.

3. Come sono cambiati i tuoi tempi e le tue abitudini di lavoro?

L’università ha continuato a funzionare con la teledidattica, gli esami e le lauree online, e i consigli in modalità telematica. La cosa è molto faticosa, ma dal punto di vista personale ha il vantaggio che permette di rimanere in contatto con colleghi e studenti, e soprattutto che non c’è il problema di come impiegare il tempo. Ha anche un senso dal punto di vista dell’interesse generale, perché sanità e istruzione sono due pilastri della coesione sociale. Conosco amici ora in pensione, ad esempio, che svolgevano attività di tipo sociale a favore di persone svantaggiate, e si trovano a non poter fare le cose in cui erano impegnati, con danno per loro stessi e per le persone che assistevano.

4. Cosa è cambiato nelle tue abitudini quotidiane? Nello svago, la socialità, la cura della persona e della casa, l’alimentazione?

Cerco di fare comunque attività fisica, e di moderarmi nell’alimentazione, per evitare che la salute e l’umore risentano troppo della situazione. Nella socialità, mantengo contatti per telefono e online con amici e parenti, qualche brindisi o festeggiamento via Skype, ma insomma non è mica la stessa cosa.

5. Hai approfittato di questo periodo per fare qualcosa che ti ripromettevi, ma non avevi il tempo di fare?

Avrei voluto farlo, ma ho scoperto che non ci riesco. E non solo per mancanza di tempo, ma anche perché non riesco a concentrarmi.

6. In questo isolamento con chi ti senti più in sintonia?

Coi miei familiari e con alcuni amici.


7. Dove vorresti essere adesso?

Nella casa in Toscana, mentre invece sono a Roma, e chissà quando potrò trasferirmi per la primavera/estate.

8. Cosa ti manca di più?

La libertà di fare programmi per andare in giro, e la possibilità di vedere chi mi pare.

9. Hai scoperto l’importanza di qualcosa cui prima non davi alcun peso o ne davi meno?


No, direi che ho solo trovato la conferma che nella mia e nella nostra vita ci sono cose che devono cambiare. Inoltre ho apprezzato nella realtà e non solo nella teoria la caduta dell’inquinamento, e il fatto che il sole si vede di nuovo coi suoi raggi, come quando ero ragazzo. E quindi in generale che è possibile avere il silenzio, la luce, e l’aria pulita, anche a Roma, e non solo in campagna. Forse dovremmo chiederci se è indispensabile pagare questo prezzo per avere queste cose, se in generale non si possa trovare un equilibrio diverso, pubblico e interiore, all’interno di un diverso modello di sviluppo. Ma vedo forte il rischio che questo non accada, e che questa esperienza possa invece diventare un fattore di accelerazione per molti processi negativi.

10. Pensi che ci sia qualcosa che hai riscoperto e alla quale non vorrai rinunciare dopo?


Questa esperienza ha portato alla cancellazione o al rinvio di convegni, seminari, ecc., e ho scoperto che posso volentieri farne a meno. Anzi, che dovrei rallentare la mia attività per migliorare la qualità della mia vita ma anche quella del mio lavoro. Fare di meno e fare meglio. Inoltre mi sembra significativo che anche se sono preoccupato per quel che ci aspetta e sento un dolore quasi fisico per la vita che abbiamo dovuto cambiare e che non tornerà come prima, la notte dormo meglio e più a lungo.

11. Cosa cambierà dopo? Cosa vorresti portare con te di questa esperienza quando sarà finita? Cosa non vorresti dimenticare?


Sono convinto che la vita a cui ero abituato (a cui eravamo abituati) non tornerà. Certamente potremo ricominciare a viaggiare e a fare altre cose quando ci saranno farmaci e vaccini, ma molte cose cambieranno irreversibilmente. Inoltre temo che alcune cose che si sono rivelate utili in questa esperienza possano essere usate in modo distorto per cambiare in peggio la nostra vita e il nostro lavoro. Temo in particolare lo “smart working” (che nome del cavolo! Prima si diceva lavoro a distanza), che per l’emergenza va bene e che ci ha costretto a imparare a usare sistemi che possono tornarci utili in futuro, ma può essere usato per trasformare il distanziamento fisico in isolamento sociale, con gravi perdite del senso di identità di chi lavora. Ad esempio, la teledidattica. Nella Sapienza, qualcuno l’ha ribattezzata “didattica collaborativa”, facendo la seguente riflessione: in un’ottica di qualità della didattica non esistono studenti “non frequentanti” e una didattica di tipo collaborativo annullerà le differenze tra categorie di studenti. Sembra un'idea di "nuova normalità" in cui il rapporto fra chi insegna e chi impara viene profondamente alterato. Per essere costruttivi, la necessità di sperimentare alcune modalità di insegnamento, discussione tesi e esami da remoto ci ha fatto imparare delle cose utili, e dotato di risorse che potrebbero essere preziose anche dopo, quando torneremo sperabilmente e fisicamente in aula. Tuttavia sulla didattica da remoto condivido totalmente quanto scrive Alberto Melloni in un commento pubblicato da "Repubblica", sulla necessità del rapporto diretto e in presenza fra docenti e studenti. E temo non poco che attraverso Sapienza, la quale spesso è una sperimentatrice di tendenze, provi a fare capolino un futuro nel quale l'università standard sia sempre più simile alle università telematiche, mentre la "comunità educante" di cui parla Melloni diventa il benchmark dell'eccellenza per poche istituzioni (si accettano scommesse su quali). Sarebbe molto pericoloso: la sanità lombarda basata sull'idea delle eccellenze come "isole senza arcipelago" ha prodotto un disastro; pensate a cosa la stessa idea potrebbe produrre sulla "comunità educante" e sulla "industria creativa", nonché sulla nostra democrazia. Le università “di massa” che faranno solo o quasi solo didattica online, e si accontenteranno di professori-manovali, le destiniamo alla maggioranza degli studenti. Mentre pochi studenti bravi e mediamente provenienti dalla classe agiata, li mandiamo alle università che faranno molta ricerca e che pagano meglio i professori. Si accettano scommesse su quali atenei … E se il rischio è forte per i professori e gli studenti universitari, figuriamoci per le categorie più svantaggiate.

12. Come percepisci il cambiamento negli altri? Quali sono le domande che ti sei posta/o a questo riguardo e alle quali non avevi mai pensato prima?


Mi preoccupo per il mondo che lasceremo ai nostri figli e nipoti, e mediamente mi sono confermato nell’ottima opinione che avevo di alcune persone e istituzioni, e nella pessima opinione che avevo di altre e altri. Ma non vi dirò quali … non sarebbe educato.

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