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Fabio Fornasari - Bologna, 5 aprile 2020


1. Dove vivi? Che lavoro fai?


Vivo su uno strano pianeta che si è preso un brutto virus e ci ha resi tutti un poco più simili. Che lavoro faccio? Dall’11 Marzo faccio il casalingo che scrive su temi legati alla Museologia e all’accessibilità e alterno a questo pensieri il lavoro con le farine e i lieviti. Lo dicevo: siamo tutti un poco più simili. Poi lo so che è un pensiero superficiale.


2. La tua età: sotto i 35 anni; 36-50; 51-67; oltre i 67 anni. Il tuo genere


55, quindi tra 51 e i 67


3. Come sono cambiati i tuoi tempi e le tue abitudini di lavoro?


Tempo: ora è tanto. Ma si riempie tutti i giorni. Un po’ perché tutti pensano che il fatto che tu sia a casa nel “frattempo” potrei fare anche questo o quello. Poi perché davvero il tempo è cambiato. Ne ho molto di più. Ma il sabato resta il sabato e la domenica la domenica. Chissà se scopriremo che il primo furto che abbiamo subito è proprio quello del tempo.

4. Cosa è cambiato nelle tue abitudini quotidiane? Nello svago, la socialità, la cura della persona e della casa, l’alimentazione?


Non ho bisogno di avere troppa gente intorno. Non mi stanno mancando le persone ma gli spazi con le loro persone. Un esempio ROMA e le persone care che ci vivono e alle quali voglio bene. Mi lavo come prima: senza farmene una malattia. Le mani, quelle le lavo certamente di più. L’alimentazione: non è cambiato troppo. La grande differenza è che prima mangiavo a pranzo fuori casa e quindi la qualità non era sempre la migliore.


5. Hai approfittato di questo periodo per fare qualcosa che ti ripromettevi, ma non avevi il tempo di fare?


Molti hanno cominciato a fare archeologia, scavi, letture a strati delle proprie cose, della propria vita. Bene: sto cercando di sistemare cantina e solaio ripromettendomi di buttare via la metà delle cose. Come a separare la “terra” (tutto ciò che fa disordine, numero inutile) dalle cose essenziali da tenere.

6. In questo isolamento con chi ti senti più in sintonia?


Sono stato per anni fuori Bologna, dove sono rientrato causa COVID e abito (e così ho risposto alla prima domanda). Il vero distanziamento per me non è questo metro che ci hanno chiesto di rispettare. Ma il distanziamento coatto di centinaia di chilometri dalle persone con le quali ho voglia di passare il miglior tempo. Quindi l’isolamento dalle persone a me in sintonia (mi verrebbe voglia di dire sintomatiche insieme a me) è questo.

A Bologna ho poche persone che comunque sento spesso per lavoro o per altro. Ma non so se si può dire. Forse la primavera è la persona a me più affine e con la quale mi sento in sintonia. Non voglio fare sembrare che sono un solitario o che non mi piace la gente. Anzi. Mi piace tanto. Ma le persone o non mi piacciono o mi piacciono. Ora siamo un po’ tutti più in sintonia: condividiamo tante cose.


7. Dove vorresti essere adesso?


In un bosco a funghi.


8. Cosa ti manca di più?


Viaggiare. Già scritto altrove: mi mancherà Marsiglia, la sua luce e il suo mare, l’odore della sua costa e la roccia bianca della corniche.

9. Hai scoperto l’importanza di qualcosa cui prima non davi alcun peso o ne davi meno?


Questo periodo ci sta mostrando che basta un mese di inattività per fare crollare un castello di carte che si chiama economia. Basta un mese di sospensione del lavoro per vedere licenziata gente, gente che non ha più soldi per fare la spesa. Personalmente ho perso lavori e altri non so ancora se li riuscirò a mantenere. Sapevo che l’economia è effimera ma credevo riuscisse a reggere più di un mese. Non ho risposto alla domanda, lo so. Ma mi pareva giusto esprimere qui questo pensiero.


10. Pensi che ci sia qualcosa che hai riscoperto e alla quale non vorrai rinunciare dopo?


Non voglio rinunciare all’idea che non tutto debba e possa essere spiegato continuamente.

Ho ormai letto mille articoli che mi dicono già come sarà la realtà, che sarà differente.

Temo che bestia che è in noi si riprenderà tutta la vita che abbiamo temporaneamente dimenticata e ce la rifarà vivere con lo stesso ritmo di prima.

Non saremo più esattamente come prima, ma impareremo nuovamente a rimuovere come abbiamo sempre fatto. Altrimenti dovremo abbandonare del tutto ciò che ancora ci parla di Freud.

Saremo stati poeti (non lo diventeremo).

11. Cosa cambierà dopo? Cosa vorresti portare con te di questa esperienza quando sarà finita? Cosa non vorresti dimenticare?


Spero che qualcosa resti: che si comprenda che Covid 19 è un altro nome a una cosa che spiega che abbiamo tradito la nostra natura di appartenenti al sistema dei viventi. Vorrei che la gente se ne rendesse conto e che non si illudesse più che guidare un SUV li rende più liberi. Ora i loro SUV sono parcheggiati in strada. Immobilizzati da una cosa più miliardi di volte più piccolo rispetto a qualsiasi altra utilitaria. Ma ha vinto questo piccolo virus.

Però un principio di realtà mi prende allo stomaco: la nostra libertà subirà un ulteriore giro di vite. Ne abbiamo persa un poco nel 90, con la prima guerra nel medio oriente, un’altro poco nel 2001, con l’Isis un’altro poco ancora. Ne abbiamo persa con l’arrivo degli smartphone che donano il regno dell’ubiquità ma anche il controllo quotidiano.

Ora siamo ai domiciliari e li stiamo accettando grazie a una angoscia che non ci permette di ribellarci, che non permette alla nostra natura di esprimersi. Ci sentiamo protetti da questa regola.

Abbiamo accettato tutto perché quando hai paura accetti qualsiasi limitazione di libertà.

Ti garantiscono sicurezza e tu dai loro la tua libertà. Bene.

Quando e se sarà finito tutto questo, da quale altra angoscia ci lasceremo prendere che ci porterà a perdere altra libertà?

La paura di quale altro straniero? Spero di non dimenticarmi questo discorso e spero di poter parlarne ancora in libertà.


12. Come percepisci il cambiamento negli altri? Quali sono le domande che ti sei posta/o a questo riguardo e alle quali non avevi mai pensato prima?


Vedo tanti modi differenti, fortunatamente.

Tutti a Natale sono buoni, ma già il 2 gennaio sono tornati le iene o gli agnelli di sempre. Quello che vedo è gente che sta prendendo la rincorsa per essere pronta al prossimo “2 gennaio”. Questo che ho detto risponde al mio pregiudizio. Ma vedo anche gente che vive più poeticamente questo tempo.

Forse alla ultima domanda ho risposto qua e là. Ma veramente spero che gli altri se le stiano ponendo.

La mia domanda è: non ci fossero stati troppi lutti, che non sono ancora terminati, mi chiedo se la gente si rende conto della fortuna che abbiamo avuto a vivere questa esperienza. Da anni siamo su uno scivolo che si stava portando verso il basso. Ora siamo caduti fuori dallo scivolo: possiamo solo rialzarci. Ne saremo capaci? O torneremo su quello scivolo?


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