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Donata Villari, Firenze 15 maggio 2020

1. Dove vivi? Che lavoro fai?

Vivo a Firenze, sono una ricercatrice universitaria, medico. Specializzata in Urologia nel 1987.L avoro da allora presso l’Azienda mista Universitaria Ospedaliera di Careggi. Pertanto la mia disciplina è in ambito chirurgico, anche se l’Urologia comprende una varietà molto ampia di sottospecializzazioni. Il mio settore di interesse principale è l’oncologiama ho lavorato per più di venti anni anche in ambito trapiantologico .

2. La tua età: sotto i 35 anni; 36-50; 51-67; oltre i 67 anni. Il tuo genere


Sono donna è ho 64 anni.

3. Come sono cambiati i tuoi tempi e le tue abitudini di lavoro?


La chirurgia oncologica della Clinica Urologica di Firenze non ha mai interrotto la sua attività. Pertanto si è dovuto riorganizzare tutta la modalità di lavoro. La struttura ospedaliera ha separato drasticamente i percorsi COVID dalle attività NON COVID. I pazienti non hanno mai smesso di accedere nel nostro reparto per essere sottoposti alla chirurgia oncologica. E’ stata una Organizzazione logistica molto complessa. Nessun parente o accompagnatore è stato più ammesso in reparto. Quindi a parte l’ovvia e necessaria cautela in sala nell’attenzione al contagio per tutti gli operatori sanitari e per i pazienti, la comunicazione con l’esterno è diventata fondamentale (lo dovrebbe essere sempre) e anche faticosa. Si devono dare informazioni ai congiunti degli operati , avere pazienza, non essere sbrigativi. Far arrivare ai malati i messaggi dei loro cari. Perché c’è molta ansia attorno ad un intervento oncologico per di più in epoca covid. Ruolo fondamentale in questo senso lo hanno avuto tutti gli infermieri e anche i medici specilaizzandi che lavorano ed hanno lavorato tantissimo anche in questa occasione.

Io sono responsabile del Centro Oncologico di riferimento Dipartimentale per le neoplasie urologiche di Careggi. Pertanto abbiamo dovuto rivoluzionare il sistema di gestione delle visite non interrompendo mai l’attività ma organizzandola il più possibile da remoto. Colloqui telefonici per illustrare il risultato istologico degli interventi, successivo programma terapeutico o di follow up sempre telefonicamente e poi con successiva mail di conferma. Questa è stata un’attività non burocratica ma assolutamente impegnativa sul piano umano ed emotivo. Ricevere notizie “dall’ospedale” sulla propria salute essere cercati in prima persona, ha spesso commosso i pazienti .

Questo ci ha fatto lavorare molto, in condizioni non consuete e con estrema cautela per non rischiare di sottovalutare condizioni cliniche critiche da selezionare. Visitare senza poter vedere e toccare il paziente. Cercare di instaurare intimità e fiducia in una telefonata.

4. Cosa è cambiato nelle tue abitudini quotidiane? Nello svago, la socialità, la cura della persona e della casa, l’alimentazione?


I tempi. Per tutto ho impiegato più tempo. Dal lavarmi prima e dopo l’ospedale (paura di portare il contagio a casa), vestirmi e svestirmi.

Mi sono lavata in maniera maniacale. Sul look, beh, sorvolerei.

Da single che ero, la vita è ritornata familiare con due figlie giovani a casa che prima erano lontane. Molti litigi, molta commozione anche.

In più Le pulizie domestiche che prima erano affidate a una persona.

Abbiamo dedicato molto tempo e cura alla cucina, anche all’apparecchiatura della tavola.

5. Hai approfittato di questo periodo per fare qualcosa che ti ripromettevi, ma non avevi il tempo di fare?


Ho pensato molto.

Ho provato ad essere super attiva nella fisicità cercando di emulare le due giovani figlie che si erano scatenate in attività ginniche giornaliere. Ma niente, a casa sono stata una pigra Oblomov distesa sul divano. Ho ritirato fuori i miei acquarelli ma con scarsi risultati. Nemmeno abbuffate di Netflix, solo un vuoto sospeso per pensare. E molto ricordare. Ho pensato molto ai miei genitori che non ci sono più. Alla mia vita trascorsa, alla mia infanzia. Non ho fatto progetti di nessun tipo. Ho pensato di più al passato piuttosto che al futuro. Ho preso le distanze dal presente.

6. In questo isolamento con chi ti senti più in sintonia?

Con tutti gli amici più cari.

Con i colleghi di lavoro (quasi tutti uomini) con cui ho condiviso più che con i familiari le mie ansie e le fatiche di ogni giorno. Ci siamo aiutati.

Con gli specializzandi, mi hanno tenuta allegra.

E’ il momento della mia vita in cui forse ho sentito più utile e sensato il mio lavoro di medico.

Mi ha aiutata molto una chat invece tutta al femminile di colleghe in qualche modo legate all’oncologia nei più svariati settori. E’ stata veramente fantastica. Frequentatissima su tutto: dai problemi di gestione del rischio in ospedale, dai casi clinici alle problematiche sindacali. E poi ricette (moltissime), musica, fotografie in diretta della nostra vita attuale e passata. Alcune di noi non si conoscevano molto, ci siamo come federate in questa comune esperienza di vivere tutti i giorni l’Ospedale fuori, da sole, e la casa dopo, con “gli altri”. Anche tanta ilarità e sdrammatizzazione delle paure, prima fra tutte quella di prendere il Covid in Ospedale e di portarlo a casa.

Non posso non parlare del il mio cane, un Labrador chocolat, Generale Patton, che ci ha tenute ancorate alla fisicità e alla vita di tutti i giorni. Uscire con lui, accarezzarlo è stata una benedizione.

Mi ha nutrito anche il rapporto con il mio minuscolo giardino. Ho seminato e visto crescere i germogli.

7. Dove vorresti essere adesso?


Al mare, a Salina.

8. Cosa ti manca di più?


Il mare.

9. Hai scoperto l’importanza di qualcosa cui prima non davi alcun peso o ne davi meno?

No.


10. Pensi che ci sia qualcosa che hai riscoperto e alla quale non vorrai rinunciare dopo?


Il mio unico proposito è l’utilizzo del tempo. Non sprecarlo.


11. Cosa cambierà dopo? Cosa vorresti portare con te di questa esperienza quando sarà finita? Cosa non vorresti dimenticare?


Vorrei custodire il meraviglioso silenzio delle strade, dei rumori della natura fuori che entravano in casa dalle finestre. La pulizia dell’aria.

Vorrei dimenticare l’ansia e il sapere quanto hanno sofferto amici, conoscenti e anche estranei ricoverati o isolati nelle case in preda al panico di non farcela. Un pensiero costante ai miei genitori se fossero stati ancora vivi.

12. Come percepisci il cambiamento negli altri? Quali sono le domande che ti sei posta/o a questo riguardo e alle quali non avevi mai pensato prima?


Non credo molto ai cambiamenti. Ognuno è com’è. Forse adesso ho ancora meno paura di mostrarmi per come sono (se mai ce l’ho avuta…).

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