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Barbarba Kenny, Roma 30 marzo 2020


1. Dove vivi? Che lavoro fai?


A Roma, lavoro come manager per la Fondazione Brodolini, lavoro su due fronti: comunicazione e politiche di pari opportunità, molto spesso all’intersezione tra queste due aree. Il mio impegno principale è il coordinamento della rivista online ingenere.it


2. La tua età: sotto i 35 anni; 36-50; 51-67; oltre i 67 anni. Il tuo genere


36-50, femmina.

3. Come sono cambiati i tuoi tempi e le tue abitudini di lavoro?


Lavoro da casa con un bambino piccolo di quasi tre anni quindi lavoro a intermittenza: due ore prima che si svegli la mattina (per fortuna è un dormiglione), poi, mentre il mio compagno continua a lavorare io mi occupo della colazione, vestirsi, giocare, fino alle 11.30 quando ci diamo il cambio a quel punto io vado liscia fino all’una. Pranziamo insieme e verso le due il bimbo si riaddormenta quindi lavoro fino alle quattro e mezza. Tra le due e le quattro e mezza calendarizzo tutte le call, fare call con il bimbo sveglio è impossibile! Alle quattro e mezza stacchiamo entrambi dal computer, può succedere che rispondiamo a qualche email o telefonata, se serve recupero la sera tardi, ma in linea di massima siamo fuori dalla dimensione lavoro.

4. Cosa è cambiato nelle tue abitudini quotidiane? Nello svago, la socialità, la cura della persona e della casa, l’alimentazione?


La prima settimana abbiamo navigato a vista, ma non funzionava, eravamo stanchi e un po’ nervosi. Quindi abbiamo fatto un piano: stabilire una routine da quarantena, sveglia sempre alla stessa ora, organizzazione e divisione del tempo di lavoro e tempo con il bambino, orari dei pasti e orari della ninna, un minimo di pianificazione delle attività per il bimbo. Abbiamo pensato anche al bisogno di movimento quindi la mattina ci svegliamo con la musica e balliamo, e di sole e aria quindi abbiamo sistemato il terrazzo condominiale: abbiamo portato vasi, terra, giochi, un tavolo, due sedie, bolle di sapone. La sera prima della cena cerchiamo di sentire in video chiamata la famiglia o gli amici.

La cura: si è spostata tutta su di noi sia quella del bambino che quella della casa, mentre prima avevamo il nido e i nonni per il bambino e il signor Tino per le pulizie, e questa è una novità un po’ faticosa. La nostra casa sembra ribellarsi alla nostra presenza h24, tenerla pulita e in ordine sembra un’impresa titanica, ma almeno condivisa (anche il piccolo viene coinvolto!).

5. Hai approfittato di questo periodo per fare qualcosa che ti ripromettevi, ma non avevi il tempo di fare?


No, non riesco a fare niente oltre a tenere insieme i pezzi basici (bimbo, casa, lavoro). Non riesco nemmeno a leggere, non solo per mancanza di tempo ma di capacità di concentrazione. In compenso faccio una rassegna stampa internazionale e consumo moltissima informazione sulla pandemia.

6. In questo isolamento con chi ti senti più in sintonia?


Con mio marito, la tenuta del buonumore e dell’amorosità della nostra famiglia è sorprendente! Ci sentiamo molto fortunati nonostante la clausura e l’angoscia per la pandemia (e per me anche sapere che i miei genitori sono molto lontani, in quarantena dall’altro lato del mondo), ma anche la preoccupazione per la tenuta economica dei nostri luoghi di lavoro.

7. Dove vorresti essere adesso?


Al mare, mi è venuto un gran desiderio di mare.


8. Cosa ti manca di più?


La socialità e il movimento. Gli amici che passano a cena, la colazione al mercato il sabato mattina, le gite, la cultura (voglio andare a teatro, alla presentazione di un libro, a un concerto!). Mi manca il tempo per me da sola.


9. Hai scoperto l’importanza di qualcosa cui prima non davi alcun peso o ne davi meno?


Il quartiere. Sono sempre stata contenta di vivere al Pigneto dove vivono tanti amici, oggi sono contenta di viverci anche per gli sconosciuti e le loro manifestazioni di attenzione e di solidarietà e per i piccoli commercianti del quartiere. Avere un quartiere con le sue botteghe e non solo un supermercato a portata di mano ha regalato un po’ di qualità alla nostra quarantena (iniziando dalla tavola!).

10. Pensi che ci sia qualcosa che hai riscoperto e alla quale non vorrai rinunciare dopo?


L’importanza di ballare e di riempire la casa di musica.


11. Cosa cambierà dopo? Cosa vorresti portare con te di questa esperienza quando sarà finita? Cosa non vorresti dimenticare?


Credo che molte persone si siano scoperte insufficienti, siamo nuclei piccoli, spesso single, coppie o famiglie con figli unici, abbiamo bisogno di inventare e consolidare pratiche di reciprocità, convivenza, mutualità più ampie. I nostri nuclei sono troppo piccoli per affrontare da soli le difficoltà del presente che sia la precarietà come una quarantena o una quarantena da precari. Quindi porto con me il bisogno di tenere aperta la famiglia in modo che la prossima volta siamo più capaci di pensare al “come”.

12. Come percepisci il cambiamento negli altri? Quali sono le domande che ti sei posta/o a questo riguardo e alle quali non avevi mai pensato prima?


In generale è troppo presto. Non sono ancora pronta a rispondere: è la prima volta che viviamo una pandemia, non abbiamo gli strumenti per capire ancora. Mi preoccupano le derive autoritarie e l’assenza di pensiero critico nei media, mi preoccupa una classe politica – nazionale come regionale - che mi sembra sia stata poco capace di gestire in maniera lucida e affidabile questa situazione (non che intorno a noi nel mondo ci siano esempi molto migliori). Le grandi domande di sempre si impongono: come facciamo a tenere insieme comunità, democrazia, ambiente? Come facciamo ad anteporre il benessere al profitto? Non sul piano teorico, ma su un piano trasformativo: perché mi sembra che questa pandemia abbia messo in risalto le fragilità lavorative, economiche e sociali.

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